Libia, le navi italiane faccia a faccia col Califfato |
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Domenica 15 Novembre 2015 10:26 |
Gli uomini del Comsubin e quelli del Secondo Reggimento San Marco in prima linea contro le bandiere nere dell'Isis Gian Micalessin - ilgiornale.it NAVE FASAN (In navigazione davanti alle coste di Misurata) - "Ammiraglio, ammiraglio barchini in movimento ad oltre 40 nodi". L'ufficiale uscito dalla plancia di comando si precipita nella sala di consiglio dove il contrammiraglio Paolo Pezzutti, comandante della missione "Mare Sicuro" è in riunione. Sono trascorse poco più di 30 ore dalla carneficina di Parigi e a bordo della fregata Virginio Fasan si respira un'atmosfera di estrema attenzione. Non esiste un allarme specifico, ma c'è la consapevolezza che quest'ammiraglia, il cacciatorpediniere Caio Duilio, la fregata Aliseo e il pattugliatore Cigala Fulgosi, le quattro navi della missione incaricate di difendere gli interessi nazionali davanti alle coste della Libia, sono potenziali obbiettivi dello Stato Islamico. Lì sulle coste dell'ex colonia, ad appena trenta o quaranta chilometri da noi (a seconda della distanza di navigazione dal limite delle acque territoriali) s'estendono vaste fette di territorio controllate dallo Stato Islamico. L'abitato e le zone circostanti Sirte, 150 chilometri a est dal Fasan, i dintorni di Derna e le rovine di Bengasi, al cui largo incrocia il Caio Duilio, alcune zone di Sabratha - dove è di pattuglia il Cigala Fulgosi - sono da tempo roccaforti del Califfato. A Sirte i terroristi, oltre a controllare abitato e dintorni, hanno sicuramente messo le mani sul porto e sulle motovedette del defunto governo libico. Ed una di queste è stata vista navigare, anche recentemente, nello specchio d'acqua prospiciente la città. A Sabratha, davanti alle piattaforme off shore dell'Eni, lo Stato Islamico opera in piccoli gruppi, ma ha la disponibilità di vasti quantitativi di armi pesanti ed esplosivi recuperati in un ex campo di addestramento governativo. Ufficialmente a bordo nessuno ancora lo ammette, ma il timore principale è l'utilizzo di un missile recuperato negli ex arsenali di Gheddafi o un barchino imbottito di esplosivo simile a quello utilizzato da Al Qaida nell'ottobre 2000 per colpire l'incrociatore americano "Uss Cole", alla fonda nel porto yemenita di Aden. Il razzo o il missile, una volta individuato dal radar di scoperta aerea potrebbe facilmente essere ingannato dai sistemi di contromisura Sclar o dai cannoni a tiro rapido da 76 millimetri posizionati a prua e poppa della Fasan. Cannoni dotati tra l'altro di munizioni intelligenti in grado di cambiare traiettoria per correggere eventuali deviazioni di rotta dell'obbiettivo. I sistemi di avvistamento, le apparecchiature radar e le potenti mitragliatrici Oto Melara calibro 24 montate sulle fiancate della fregata contribuiscono, invece, a render assai improbabile l'avvicinamento d'imbarcazioni anche veloci. Le incognite dei conflitti asimmetrici dove la minaccia terroristica punta è alla ricerca di continui espedienti per colpire obbiettivi tecnologicamente superiori, meglio armati e teoricamente inavvicinabili sono però proprio queste. Per questo individuare, come succede spesso la notte, imbarcazioni in movimento ad oltre quaranta nodi è un motivo di allarme. Come lo è sapere che in queste acque navigano mercantili carichi di armi destinate ai gruppi jihadisti di Bengasi o di diesel di contrabbando usato per finanziare l'attività di formazioni armate. Per questo, oltre ai radar e alle apparecchiature elettroniche, a bordo è sempre all'erta il team di sicurezza composto da cinque incursori del Comsubin e da dodici fucilieri di marina del Secondo Reggimento San Marco. Quando radar e apparecchiature hanno espletato la loro funzione spetta a questi uomini scendere in mare, arrampicarsi a bordo delle imbarcazioni sospette e perquisirle da cima a fondo. E spetta a loro, eventualmente, affrontare faccia gli eventuali terroristi. |
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