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Andrea Riccardi - Estratto del discorso alla DA PDF Stampa E-mail
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Notizie - Cultura
Lunedì 15 Giugno 2015 10:02
 Estratto del discorso del Presidente tenuto sia in sede di Consiglio centrale che in Assemblea dei soci

 
 
 Carissimi consiglieri,
questo è per me il primo consiglio che affronto come presidente, dopo qualche mese dalla mia elezione, a cui voi stessi avete dato un contributo di fiducia, per cui vi ringrazio.
Innanzi tutto vorrei ricordare chi mi ha preceduto in questo incarico, per un così lungo e fruttuoso periodo di governo, l’ambasciatore Bruno Bottai, presidente dal 1995 allo scorso anno. Sotto la sua presidenza si è avviata la transizione della nostra Società verso una dimensione e una strutturazione più aggiornata alla realtà del mondo globale, con il rinnovamento dello Statuto, con misure atte a certificare in modo efficace l’insegnamento della lingua, con un rapporto più intenso tra i comitati nel mondo e la presidenza, nonché una nuova configurazione della nostra presenza in Italia. Si è valso, per un significativo periodo, dell’opera valida di Alessandro Masi, in qualità di segretario generale, che io ringrazio per quanto fa e per avermi introdotto nell’ambiente della Dante con competenza e dedizione. Grazie dott. Masi.
Sono ancora un novizio rispetto a voi, ma desidero rivolgere un pensiero grato all’ambasciatore Bottai, che ha incarnato in modo eccellente la diplomazia dell’Italia repubblicana e che io stesso ho conosciuto e frequentato quand’era ambasciatore e segretario generale della Farnesina. Alla sua figura vorrei dedicare una giornata di studio e di ricordo –questo è stato approvato dall’ufficio di presidenza- nel primo anniversario della sua morte, come nostro contributo a ricordare una figura che si è dedicata gratuitamente –tale è l’ufficio del presidente, gratuito- agli scopi istituzionali della nostra Società. Penso che potremmo ripercorrere vari profili del nostro presidente: il diplomatico, il presidente della Dante, l’ambasciatore a Londra e in Vaticano, senza trascurare la sua storia familiare.
E’ doveroso anche da parte mia ringraziare il dott. Gianni Letta, che ha garantito –come vicepresidente- l’interim della guida della Dante con delicatezza e perizia, avvalendosi della collaborazione del segretario generale.
Mi permetterete di svolgere, iniziando questo consiglio, alcune riflessioni introduttive a una discussione che spero feconda sulla realtà e sulle prospettive della nostra Società. Infatti, la Dante –come tutte le istituzioni culturali del nostro paese- ha conosciuto nei due decenni trascorsi una stagione non facile, proprio per la costante riduzione dell’appoggio e del finanziamento dello Stato. Soprattutto nel 2008 è avvenuto un taglio del finanziamento pubblico, per giungere nel 2010 a un punto davvero basso. Una crisi di carattere finanziario, che ha condotto a ristrutturazioni che debbono essere ancora completate, per i problemi che più avanti indicherò.
Ma c’è stato qualcosa di più. Vorrei dire c’è stato uno spaesamento e un indebolimento di istituzioni come la nostra che operavano su campi internazionali e nazionali, consolidati. E’ lo spaesamento più generale indotto nella politica e nella vita quotidiana dai mutamenti radicali degli ultimi due decenni e nel cui cuore noi siamo. Il processo di globalizzazione, con la sua portata antropologica, culturale, ha gettato la società italiana in un orizzonte senza frontiere, con nuove competizioni e sfide. Sono temi noti, per chi osserva l’Italia e ha un po’ esperienza del mondo. Sono temi noti, ma non facili da affrontare. Tuttavia, proprio dagli anni Novanta, la politica italiana ha attraversato una lunga e complessa transizione, con fenomeni d’introversione, di ripiegamento, di autolesionismo politico, di scarsezza di visione, che non hanno certo favorito l’ambientazione del nostro paese sugli scenari del mondo. Anzi hanno favorito l’introversione.
La frontiera della lingua, del suo insegnamento, della simpatia per l’Italia, l’italiano, l’italianità, hanno registrato subito delicato fenomeno. Hanno sofferto e soffrono di questa introversione. Infatti la nostra attività si colloca proprio nella prospettiva dell’estroversione italiana: domanda di lingua e cultura, interesse per l’Italia, insomma domanda del mondo, del prodotto, dello stile italiano, del vivere italiano. Ma, proprio mentre si doveva rilanciare l’offerta di lingua e cultura su nuovi scenari, sono state ridotte le risorse della nostra Società.
Una sofferenza strutturale si è unita a una sofferenza congiunturale, a cui il governo della Dante ha fatto fronte egregiamente in vari modi, tra cui quello di cogliere la domanda di lingua sul territorio italiano, proveniente da immigrati e soprattutto da altri studenti. Tuttavia c’è ancora molto da fare per colmare lo scarto tra le possibilità d’azione, le domande e, d’altra parte, l’offerta della nostra Società: cioè accompagnare e stimolare meglio l’estroversione italiana nel mondo globale.
Queste considerazioni ci obbligano –mi pare- a dire qualcosa sulla missione della Società, a partire da quell’Appello del 1889, da cui prese le mosse e che trovo ancora attuale per certi aspetti. Un’affermazione breve di quel testo è però sostanziosa di contenuto: “la patria non è tutta dentro i confini materiali dello Stato” –si scrive. L’attenzione dei promotori, attorno a Giosuè Carducci, era diretta a una comunità italiana all’estero, emigrata, a rischio di perdere lingua e carattere nazionale. C’era l’idea che la missione della Dante fosse quella di connettere, vivificare, alimentare “pezzi” di italianità (è un’espressione del manifesto): “dovunque suona accento della lingua nostra (quindi non necessariamente in bocca agli italiani), dovunque la nostra civiltà lasciò tradizioni, dovunque sono fratelli nostri che vogliono e debbono rimanere tali (gli emigrati italiani), ivi è un pezzo della patria che non possiamo dimenticare”.
Missione della Dante mi pare sia coltivare, connettere, alimentare, “pezzi della patria” fuori dai confini nazionali. Lungo la storia, cambia il colore dell’italianità, il sapore e l’odore italiano, che pezzi del mondo portano in sé. Quali “pezzi”?
Certo resta valido un rapporto privilegiato con quanti sono di origine italiana: l’ho visto io stesso visitando a Buenos Aires la sede della Dante, dove ho voluto raccogliere i responsabili dell’Argentina e dell’Uruguay. Strutture nostre importanti, tradizioni, simpatie, lingua e cultura nostre, costituiscono un terreno su cui rinnovare una presenza, che non dev’essere di nostalgia, ma di attualità e di conoscenza dell’italiano e del suo mondo per comprendere anche un carattere costitutivo dell’Argentina, che è l’origine italiana. E’ un impegno che intendiamo confermare e una chance che non vogliamo perdere, anzi dobbiamo farla maturare, specie con una precipua e più organizzata attenzione all’Argentina e ai paesi di emigrazione italiana, pur così diversi tra loro.
Ci sono però altri “pezzi della patria”, per così dire, che non si collocano solo nella genealogia italiana, ma che portano il colore nazionale, fosse come aspirazione a imparare l’italiano o a essere in contatto con il suo mondo. Resta sorprendente la domanda d’italiano così forte che fa –sembra confermato- della nostra lingua, la quarta più studiata al mondo: domanda di lingua ma anche attrazione per un mondo di qualità, di storia, di cultura, di prodotti, di stile, arte e musica e tant’altro, che aggressivo e imperialista non è, che parla di umanesimo e di buon vivere (si pensi alla cucina). Scrive giustamente Luca Serianni: “una prova del potere, anche economico se pensiamo al relativo indotto, di un prestigio essenzialmente storico-culturale”.
C’è però qualcosa di più, che non abbiamo ancora afferrato, da capire rispetto alla domanda di italiano e mondo italiano. Anche perché questa, se non coltivata o scarsamente, non sarà eterna per le centinaia di milioni di esseri umani che si affacciano sugli orizzonti del mondo globale, come nuovi attori e consumatori. Si corre il rischio del deperimento di una simile domanda a fronte di nuove concorrenze, di scarsa consapevolezza, d’irrilevante investimento. Per far amare l’Italia, i suoi prodotti e la conoscenza della sua terra, occorre investire nel creare Italsimpatia e nell’accrescere l’italofonia.
Abbiamo nella nostra Società uno strumento prezioso a questo fine, ma –non nascondiamocelo- occorre completare la ristrutturazione della nostra realtà, rafforzare i comitati italiani, ma soprattutto inserire un livello diverso di attrazione nella nostra presenza nel mondo. Se non c’è una Francofonia per ragioni storiche oltre che politiche, sarà necessario organizzare con continuità una comunità di Italsimpatia, che tenga insieme italiani d’origine ma soprattutto italsimpatetici, che sono una grande risorsa: penso al grande lavoro che compie, nonostante la crisi, il nostro Ministero degli Esteri in quella che si può definire una diplomazia culturale. E’ una tensione in più da inserire nei nostri comitati, ma anche un livello ulteriore da creare.
Nell’esperienza avuta in questi primi mesi, ho visto l’interesse di una gestione più integrata del bacino argentino, magari con Uruguay e Bolivia. Non mi sfugge il valore delle presenze sul Mediterraneo, dal comitato glorioso di Tunisi, al Libano…. Ma siamo alle prese con una domanda nei Balcani. E, d’altra parte, abbiamo una forte domanda di insegnamento dell’italiano dai cinesi in Italia e in Cina.
Un momento di passaggio è il nostro Congresso di Milano, nel settembre 2015 (25-27), l’ottantaduesimo, giustamente dedicato a “Dante e alla civiltà italiana dell’alimentazione” nel quadro dell’Expo. Mi piacerebbe modificare lievemente questo programma anche –spero- per offrire l’occasione a una presenza del Capo dello Stato e per far emergere prospettive e preoccupazioni che ho ora accennato. Per il prossimo congresso si potrebbe pensare a una collocazione extraeuropea.
Resistere alle difficoltà, rilanciare verso nuovi obbiettivi, richiede però –mi scuserete- una più riavvicinata discussione sull’ assetto della Società Dante Alighieri e degli strumenti di gestione. Se l’italofonia e l’italsimpatia sono l’obiettivo cui puntare, i mezzi necessari per il suo conseguimento risiedono nella capacità e nelle risorse della nostra Società, chiamata a proseguire e a completare il processo di rinnovamento. Qui dobbiamo fare uno sforzo e concentrare le nostre energie.
La forma societaria. Innanzitutto attuando un equilibrato rapporto con i comitati in Italia: la conversione in onlus della Dante è un processo ultimato e rimanda ad un modello di associazionismo cui sono chiamati gli stessi comitati nazionali, portando chiarezza di rapporti e benefici sia a livello centrale che periferico. Lo Statuto approvato dai soci nel corso del 2014 ne è l’espressione formale più autorevole e mi auguro sia recepita da tutti i presidenti nazionali entro la fine del corrente anno. Ho chiesto infatti al Segretario Generale di assistere i comitati in questo delicato ma ineludibile passaggio della nostra storia.
Sostenibilità economica. La Dante deve operare secondo il criterio della sostenibilità economica che la metta in condizione di far fronte alla diminuzione dei finanziamenti da parte dello Stato (oggi quasi un terzo di quanto veniva regolarmente erogato 10 anni fa). Va dato atto al dott. Masi di aver compreso da tempo la necessità di attuare interventi, iniziati già da qualche anno e che ci hanno reso uno dei principali attori della formazione della lingua italiana: le 4 scuole presenti a Roma, Firenze, Bologna e Milano sono capaci di produrre entrate per oltre 1,2 milioni annui (cioè il doppio della contribuzione statale); il processo di certificazione, riconosciuto a livello internazionale, valore messo a disposizione dell’intera rete internazionale della Dante, produce entrate annue per circa 360 mila euro. Questo importante sforzo è stato accompagnato da una contemporanea azione sui costi per ottenere una significativa riduzione.
Il bilancio della Dante. Il bilancio 2014 evidenzia una situazione di disequilibrio con una perdita che supera i 330 mila euro. La relazione che sarà portata in approvazione domani è quella presentata il 28 febbraio 2015 al Ministero degli Esteri a firma del dr. Letta, all’epoca presidente facente funzione, e del prof. Italia, soprintendente ai conti. Essa contiene anche una previsione per il 2015 ancora in deficit per circa 250 mila euro. Si tratta di un rendiconto basato sul principio contabile di cassa; vi sono riportati i flussi con i comitati nazionali, che dal 2015 non sono più esplicitati in una parte di rendiconto a loro dedicata, nell’aspettativa del completamento del citato processo di autonomizzazione degli stessi.
Ho potuto constatare che la società ha dovuto far fronte con proprie disponibilità al disequilibrio di bilancio, come risulta nel rendiconto 2014, per contenere le perdite. Nella previsione 2015 non è indicata un’analoga misura nell’aspettativa oltremodo ambiziosa di un consistente taglio alle spese generali di amministrazione pari a circa 700 mila euro. Generosamente il presidente Bottai decise nel 2014 di far fronte alla situazione debitoria con risorse della Dante; misura che naturalmente deve essere vista quale intervento di tipo straordinario.
Ho chiesto al Segretario Generale di fornirmi un aggiornamento sull’avanzamento dell’anno in corso ed effettuare un confronto con le aspettative di bilancio. Mi auguro che da questa analisi sia possibile avere i riscontri attesi; se così non fosse (ed in misura del disavanzo che dovesse prospettarsi) la Società dovrà delineare ed attuare un piano di rientro urgente, che va dalle azioni finalizzate all’aumento delle entrate ordinarie (corsi di italiano, certificazioni, quote associative), al suddetto contenimento delle spese, fino ad interventi sui costi del personale della Dante (misura che mi auguro non debba attuarsi ma alla quale dovremmo trovarci preparati qualora necessario). Infatti l’impiego di risorse finanziarie interne per compensare uscite correnti dovrà essere contenuto al massimo.
Ruoli e responsabilità interni. La vocazione della Dante verso lo sviluppo dell’italofonia in un contesto globale richiederà l’attivazione di tutte le iniziative e qualità personali che la Società saprà trovare sia a livello centrale che di comitato. E’ un processo di estroversione che, ne sono convinto, saprà risvegliare entusiasmo e partecipazione presso tutti gli associati animati da spirito d’iniziativa e proposta.
La razionalizzazione dell’organizzazione della Società, nel senso di un rinnovato equilibrio tra la sede centrale ed i comitati costituiti in associazioni, richiederà un ruolo sempre più attivo degli uffici amministrativi. La società dovrà sempre più ispirarsi ai principi di trasparenza e sostenibilità economica, richiamandosi ai principi della Legge 231/2001 sui modelli di organizzazione, gestione e controllo i quali, pur non essendo obbligatori per le onlus, sono a mio avviso un biglietto da visita che denota attenzione alla qualità ma anche allo spirito etico che anima la Dante Alighieri.
 
Il Presidente della Società Dante Alighieri
(Prof. Andrea Riccardi)
 

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