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SHOPPING IN NIQAB IN CENTRO A VERONA PDF Stampa E-mail
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Notizie - Curiosità
Giovedì 18 Settembre 2014 13:57

Interpellata, una vigilessa in servizio davanti alla Casa di Giulietta, in via Cappello, ha ammesso la propria impossibilità a far qualcosa per l’assenza d’una precisa legislazione in merito

Servizio e foto di Claudio Beccalossi

Verona come Kabul, Il Cairo, Baghdad? O come Riyad o San’a’?
Sembrerebbe di sì dopo quanto è stato rilevato di recente in pieno centro pedonale, nello storico e frequentatissimo percorso tra le piazze Bra ed Erbe, lungo le vie Mazzini e Cappello.

 

Foto a lato: In via Cappello.

Con calma, disinvoltura e nonchalance, come se si trovassero per acquisti in qualche sūq o a girovagare in una qasba, un’insolita comitiva passeggiava fermandosi di tanto in tanto ad osservare le vetrine o per entrare all’interno dei negozi. Come turisti qualsiasi di cui brulicavano, in quelle ore, le vie in questione. Solo che, dietro all’uomo che teneva per mano una bambina, stavano accodate tre donne vestite da capo a piedi, nonostante il caldo opprimente, con solo gli occhi (anzi, per una, gli occhiali) esposti al pubblico. Probabilmente, le tre donne dietro al maschio indossavano un khimar od un jilbab, con tanto di niqab, spesso erroneamente confuso con il burqa di afghana (anzi, talebana) memoria. Il niqab è un velo che copre il viso della donna e che permette di lasciare, nella maggior parte dei casi, gli occhi scoperti. Sono “endemici” di due provenienze: dell’Arabia Saudita e dello Yemen. Nel primo caso si tratta d’un copricapo formato da uno, due o tre veli, con una fascia che viene legata dietro la nuca passando dalla fronte. Nel secondo è costituito da due pezzi, cioè un fazzoletto triangolare che copre la fronte (tipo una bandana) ed un altro rettangolare che cela il viso da sotto gli occhi alla parte inferiore del mento.


 
Alla Casa di Giulietta, in via Cappello.

Il gruppetto ha camminato lentamente attraverso via Mazzini, piazza Erbe per poi dirigersi verso la Casa di Giulietta, in via Cappello, nella calca di turisti e foto ricordo. Una vigilessa di turno all’entrata, interpellata sulla presenza di quelle tre donne completamente irriconoscibili, dopo aver sentito al telefono qualche suo collega, ha ammesso l’impotenza ad intervenire in merito, per colpa di lacunosi e contradditori regolamenti che non possono contare su una precisa legislazione in vigore.

 
In via Mazzini.

La stessa gente attorno alla quieta andatura di quelle persone, del resto, nella stragrande maggioranza non manifestava disagio o sbigottimento, semmai curiosità espressa con sorrisi e passaparola. Solo pochi si sono azzardati a lamentarsi sottovoce dell’assurdo abbigliamento, più che altro in contrasto con l’afa impietosa.
Un celebre verso della “Divina Commedia” di Dante, “Non ragioniam di lor, ma guarda e passa”, sembrava valido per tutti, donne col niqab e donne (ed uomini) con shorts ed infradito. Fatto sta che i cinque, usciti dal pigia pigia della Casa di Giulietta, hanno tranquillamente fatto il tragitto a ritroso, fermandosi ancora a curiosare tra vetrine e negozi. La fedeltà a proprie tradizioni, evidentemente, può andar d’accordo con il gusto dello shopping. In niqab… 

LA LEGISLAZIONE ITALIANA SUL VELO INTEGRALE

Indossare un velo integrale non è reato in Italia e solo qualche sporadica ed isolata ordinanza municipale ne ha disposto la proibizione punibile con sanzioni amministrative.
Quanti non mandano giù la libera circolazione di donne con il viso celato e/o velato, s’aggrappano al vigente Codice Penale e, in particolare, alla Legge 152/1975 (ed alla successiva Legge 155/2005) relativa alle norme di Pubblica Sicurezza. Il relativo art. 5 afferma: “E’ vietato l'uso di caschi protettivi, o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona, in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo. E’ in ogni caso vietato l'uso predetto in occasione di manifestazioni che si svolgano in luogo pubblico o aperto al pubblico, tranne quelle di carattere sportivo che tale uso comportino."
Riguardo alla puntualizzazione “senza giustificato motivo” ha già fornito indicazioni il Consiglio di Stato, ritenendo la matrice religiosa e/o culturale una valida ragione per poter circolare indossando un niqab, un burqa od o un altro genere di velo islamico che copra il viso.
La legge citata mira alla tutela dell’ordine pubblico, evitando che l’uso di caschi o di altri mezzi di camuffamento abbia lo scopo d’evitare il riconoscimento. In ogni caso, il divieto assoluto persiste unicamente durante eventi in luogo pubblico od aperto al pubblico, a parte quelle di carattere sportivo che ne prevedano l’uso. In altre circostanze, rendere difficoltoso il proprio riconoscimento è vietato solo se avviene, appunto, “senza giustificato motivo”. Il caso del “velo che copre il volto”, in genere non vuole evitare il riconoscimento ma rappresenta una forma di tradizione popolare, culturale, religiosa. Se interpellata, alla magistratura non compete l’attribuzione di giudizi sull’utilizzo del velo, nemmeno la verifica se si tratti effettivamente o meno d’una propria, caratteristica manifestazione e men che meno il controllo della sincerità del particolare utilizzo. Semmai, può esaminare dalla visuale giuridica se l’adozione del velo sia un espediente per non farsi riconoscere senza giustificato motivo.
In definitiva, l’art. 5 della Legge 152/1975 permette che una donna porti il velo per scopi popolari, culturali, religiosi. Le priorità di pubblica sicurezza appartengono al divieto imposto d’utilizzo durante manifestazioni ed all’obbligo di sottoporsi all’identificazione e alla rimozione del velo, se necessario. L’interpretazione non esclude che in certi luoghi o da parte di specifici ordinamenti possano essere considerate, anche in forma amministrativa, regole comportamentali diverse incompatibili con il nominato utilizzo, purché abbiano una ragionevole e legittima giustificazione per precise esigenze.
Occorre ricordare che in sede giurisdizionale il Consiglio di Stato ha funzione di tutela nei confronti degli atti della Pubblica Amministrazione. Nello specifico, il Consiglio di Stato è il Giudice di secondo grado della giustizia amministrativa, cioè il Giudice d'appello avverso le decisioni dei Tribunali Amministrativi Regionali e la sentenza seguente, ad esempio, annullò un ricorso avverso decisione del TAR sostanzialmente per motivi di merito procedurale e gerarchico. Resta stabilito, come da sentenza TAR Friuli Venezia Giulia n° 645 – 16.10.2006), che “a prescindere dai singoli casi concreti in cui ogni agente di pubblica sicurezza è tenuto a valutare caso per caso se la norma di legge possa o meno ritenersi rispettata, un generale divieto di circolare in pubblico indossando tali tipi di coperture può derivare solo da una norma di legge che lo specifichi (allo stato attuale non esistente), il che è tra l'altro in linea con le implicazioni politiche di una simile decisione”.
   
 
Donne col niqab

 

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