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Notizie - Cronache
Giovedì 24 Luglio 2014 18:43

Transitarono anche da Verona nomi eccellenti del nazismo sconfitto in fuga?


di Claudio Beccalossi


Verona,  passaggio o punto di “smistamento” o logistico dell’Organizzazione Odessa? Di sicuro, come riferì Verona libera (organo del Comitato di liberazione nazionale che, dal 1° maggio 1945 al 30 giugno 1946, sostituì L’Arena, giornale in precedenza schieratosi apertamente al fascismo) del 17 maggio 1945, fecero la loro comparsa congiunti di gerarchi nazisti in cerca di alternative: “Sono state arrestate nella nostra città le mogli di Himmler e del col. Wolff primo comandante della piazza di Verona dopo l’8 settembre ’43. Avevano tentato di trovare rifugio in Italia”.
Si ipotizza, invece, che dal capoluogo e dalla provincia siano transitati ricercati (o non ancora inseriti negli elenchi wanted) nazisti eccellenti, del calibro di Adolf Eichmann e Josef Mengele, intenzionati ad imbarcarsi a Genova per il compiacente (connivente) Sud America, con meta privilegiata l’Argentina. Come tanti altri loro “compari nel genocidio”, i due delinquenti trovarono una prima “dritta” complice a Merano, in Alto Adige, punto nevralgico dell’Organizzazione Odessa (acronimo di Organisation der Ehemaligen SS – Angehörigen, cioè Organizzazione degli ex membri delle SS), creata per consentire la fuga di criminali nazisti più o meno eminenti.
Coperta da un alone di mistero e leggenda anche dopo tanti anni (Frederick Forsyth scrisse il romanzo “The Odessa File” - “Dossier Odessa”, ricavando informazioni dai servizi segreti inglesi), l’organizzazione sarebbe stata messa in piedi durante una riunione svoltasi in Germania nell’agosto 1944 ed alla quale parteciparono, tra gli altri, il vice di Hitler, Martin Bormann, ed il ministro degli Armamenti, Albert Speer. Secondo altri storici, l’organizzazione di “mutuo sostegno delle ex SS” sarebbe stata costituita nel settembre 1945. Oltre ad aiutare i nazisti allo sbando, aveva i fini di sorreggere chi intendeva rifarsi una vita in Germania od altrove, di assistere gli arrestati od i sottoposti a processi, di difendere e proseguire il nazismo con l’avvento d’una sorta di Quarto Reich.
Nonostante lo scetticismo di vari storici sulla realtà dell’Organizzazione Odessa, il libro di Forsyth consentì l’individuazione in Argentina di Eduard Roschmann (25 agosto 1908 – 10 agosto 1977), ex ufficiale delle SS responsabile del ghetto ebraico di Riga, in Lettonia, e per questo passato all’infausta storia come “il macellaio di Riga”. Il giornalista argentino Jorge Camarasa, a sua volta autore d’un volume sugli ex nazisti al sicuro nel suo Paese, riferì d’aver contattato nel 1990 un uomo che indicò lo stesso Roschmann ai vertici dell’Organizzazione Odessa di quegli anni.

 


 
 Eduard Roschmann

 Significativa è l’ambientazione pseudostorica scritta da Forsyth nel suo romanzo (“Dossier Odessa”, Mondadori, Milano, 1973): “Prima della fine della guerra, i membri più alti in grado delle SS, perfettamente consapevoli della sconfitta e senza alcuna illusione sul giudizio degli uomini civili, al momento della resa dei conti fecero preparativi segreti per scomparire e costruirsi una nuova vita, lasciando l’intero popolo tedesco a sopportare e a dividersi le responsabilità al posto dei colpevoli. A questo scopo, ingenti somme in oro furono contrabbandate fuori dal Paese e depositate in conti bancari numerati, furono preparati documenti di identità falsi, furono aperte possibili vie di fuga. Quando gli alleati invasero finalmente la Germania, la maggior parte dei massacratori se n’era andata. L’Odessa fu creata per assicurare agli assassini la fuga verso climi più ospitali. Quando questo primo incarico fu portato a termine, le ambizioni degli assassini crebbero a dismisura”.
 Umberto Barbisan, autore di “Sulle tracce dell’Odessa. Mito o enigma del Novecento?” (Tecnologos, Mantova, 2002), si è, invece, “convinto – salvo prova contraria che non ho trovato – che l’Odessa possa essere stata solo un’organizzazione di reciproco soccorso fra i membri delle SS internati nei campi di prigionia alleati e che si disciolse fra il 1947 e il 1948”.
 Interpretazioni personali a parte, il sistema poteva contare sull’appoggio (vero o presunto ma, sempre, clandestino, non ufficiale) con Stati quali la Germania (ovviamente), la Svizzera, la stessa Italia e l’apparentemente insospettabile Vaticano. E’ comunemente ritenuto che l’SS-Obersturmbannführer Otto Skorzeny (Vienna, 1908 – Madrid, 1975) abbia avuto un ruolo importante nell’intera organizzazione ma il sospetto non è mai stato provato.

 

 Otto Skorzeny

Stando a Szymon Wiesenthal, “stanatore di belve hitleriane”, “Odessa venne istituita nel 1946 per aiutare i nazisti in fuga” mentre altre fonti (come le interviste ad ex membri delle SS trasmesse dal canale televisivo tedesco Zdf) fanno dedurre che Odessa non era una sorta di singolo organismo segreto dall’estensione mondiale descritto da Wiesenthal ma un insieme di varie organizzazioni, pubbliche o top secret (senza escludere Cia, Vaticano e diversi governi latinoamericani), che procurarono assistenza vitale a pesci nazisti piccoli e grandi.
L’ipotesi venne avallata anche dal giornalista e storico argentino Uki Goñi nel suo libro “Operazione Odessa. La fuga dei gerarchi nazisti verso l’Argentina di Perón” (Garzanti, 2003), nel quale afferma che sarebbero stati circa 300 i nazisti cui il governo di Buenos Aires diede asilo politico tra il 1946 ed il 1955. In proposito, è significativa una frase pronunciata da Harry Rositzke, esperto della Cia sull’Unione Sovietica: “Sapevamo quel che facevamo. Era necessario che usassimo ogni figlio di puttana, fintanto che era un anticomunista”. E, tra i cosiddetti “figli di puttana”, erano inclusi i nazisti più abietti, ex od irriducibili…
Ma non mancarono, quale risultato del “si salvi chi può” in concomitanza con la sconfitta militare del nazifascismo, fascisti italiani, ustascia croati, rexisti belgi, collaborazionisti francesi ed i complici della “galassia criminale internazionale” messa abilmente in piedi da Hitler & C.

Tra il 1947 ed il 1951 furono circa 13 mila gli ustascia legati ad Ante Pavelić che riuscirono a salvarsi attraverso il monastero croato di San Girolamo, a Roma, e sfruttando il cordone ombelicale italo-argentino. Ancora nel 1947 i servizi segreti americani dichiararono a denti stretti che “una disamina dei registri di Ginevra inerenti tutti i passaporti concessi dalla Croce Rossa internazionale rivelerebbe fatti sorprendenti e incredibili”. 
 Il governo di Juan Domingo Perón trattò con aperta connivenza i fuggiaschi lestofanti. E, per impedire il più possibile qualsiasi ricostruzione investigativo-storica, provvide a far sparire la maggior parte dei relativi e compromettenti fascicoli d’archivio nel 1955, con la caduta di Perón in atto. Il rimanente venne distrutto nel 1996.

 

 Juan Domingo Perón 

E se l’Argentina aveva costituito un sicuro approdo per schiere di assassini uscite sconfitte dalla guerra, il cervello dell’operazione di salvataggio risultava ragionare a Roma (città in cui lo stesso Perón soggiornò dal 1939 al 1941), addirittura in pieno Vaticano, dove alcuni vertici della Chiesa cattolica non agirono solo da complici ma s’attivarono da registi.
La Seconda Divisione del Segretariato di Stato vaticano, diretta da mons. Giovanni Battista Montini (futuro papa Paolo VI) e dalla quale dipendeva l’Ufficio rifugiati, divenne già dall’aprile 1945 (ma qualcuno anticipa all’inizio dello stesso anno l’avvio della particolare attività d’assistenza alla criminalità nazista, presa premurosamente sottobraccio verso il Sud America) il cuore pulsante dell’evacuazione di criminali di guerra nazisti (“Operazione conventi”), con il coordinamento di mons. Haloisius (Alois, noto anche come Luigi) Hudal (austriaco, parroco della chiesa di Santa Maria dell’Anima, a Roma, guida spirituale della comunità tedesca in Italia).

 

                      Franz Stangl

Hudal organizzò la cosiddetta ratline (via di fuga) che permise lo scampo in Sud America di vari criminali di guerra come Franz Stangl (SS comandante dei campi di sterminio di Sobibor e Treblinka), Gustav Wagner (“degno” braccio destro di Stangl a Sobibor), Alois Brunner (tra le altre sue infamie, comandante – e responsabile delle deportazioni verso le camere a gas – del campo di Drancy, in Francia, dal giugno 1943 all’agosto 1944).

 

       Gustav Wagner 

                        


Alois Brunner


Uki Goñi nomina altri prelati quali “capi” e “gregari” della rete di protezione: i cardinali Eugène Tisserant ed Antonio Caggiano, il futuro cardinale Siri, il sacerdote croato Krunoslav Draganovic, il vescovo argentino Augustín Barrère. Goñi fa riferimento ad importanti documenti, tra cui una lettera del 31 agosto 1946 di mons. Hudal a Perón che avanzava richiesta d’ingresso in Argentina a “5 mila combattenti anticomunisti”.

 

Szymon Wiesenthal

Nel suo volume “Giustizia non vendetta” (Mondadori, Milano, 1989), Szymon Wiesenthal nominò più volte, come implicata nel favorire il dileguarsi della feccia nazista, la Caritas. Travestiti da sacerdoti e dotati di passaporti di copertura, i delinquenti del nazismo attraversarono l’oceano Atlantico dapprima grazie alla collaborazione con l’Oss (Ufficio dei Servizi Strategici diretto da “Wild Bill” Donovan) e, in seguito, con l’Ssu (Secret service unity, organismo di transizione tra l’Oss e la Cia, capeggiato a Roma da James Angleton). Furono lo spauracchio del comunismo, la contrapposizione e la divisione dell’Europa tra “sfere d’influenza” ed i primi “sintomi” della “guerra fredda” a far decidere ai vincitori un’interessata “politica” buonista, protettiva nei confronti dei vinti, pur se colpevoli di orrende atrocità, riciclandoli in veste anticomunista. E, molto probabilmente, lasciandoli tranquillamente transitare, anonimi o meno, anche da Verona…

 

 

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