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Giustizialismo, dal Pd timidi segnali di mea culpa PDF Stampa E-mail
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Notizie - Politica
Sabato 19 Luglio 2014 11:35

Renzi non commenta l'assoluzione. Dal quartier generale del Pd dichiarazioni di maniera. Ma dopo vent'anni di persecuzione giudiziaria sembra sgretolarsi qualche dogma del giustizialismo. Orlando: "Il sistema ha tenuto". Ma Forza Italia: "Ora riforma della giustizia"

Andrea Indini - ilgiornale.it

Ci sono voluti vent'anni di aspra persecuzione giudiziaria, segnata da soprusi, colpi bassi e vili abusi, perché il dogma del giustizialismo cominciasse a franare. Aldilà dei rosiconi anti Cav, che hanno sbeffeggiato la decisione della Corte d'Appello con insulti e parolacce, l'assoluzione di Silvio Berlusconi nel processo Ruby apre un fronte nel Partito democratico.


Matteo Renzi si è guardato bene dal commentare: ha preferito sgravare il compito delle dichiarazioni istituzionali sui vertici piddini. E, anche da via del Nazareno, non sono arrivate prese di posizione politiche, ma di circostanza. Eppure qualcosa si muove: timidi segnali di mea culpa. "Nei vent’anni alle spalle qualche eccesso di giustizialismo c’è stato - ammette il presidente del Pd Matteo Orfini in una intervista al Corriere della Sera - in alcune parti della sinistra si è perso il senso della cultura delle garanzie e abbiamo visto una deriva giustizialista".

Va bene l'assoluzione, va bene la gioia del momento, ma nel fondo del calice rimane l’amarezza. Quella più difficile da bere: i danni politici e di immagine causati dalla vicenda Ruby. Per questo, nel commentare la decisione della Corte d'Appello di Milano, Berlusconi parla di "un'accusa ingiusta e infamante" per la quale riecheggiano ancora nella sua testa gli anni di "aggressione mediatica, i pettegolezzi, e le calunnie". A Milano arriva così la sentenza più attesa per il Cavaliere: quella che lo assolve dalle accuse di concussione e di prostituzione minorile. Assoluzione che, però, non cancella quattro, lunghissimi anni di aggressione mediatica, gossip voyeuristico e libidinoso, diritto alla privacy negato. Sul Rubygate ci hanno campato i soliti anti Cav che riempivano i salotti radical chic, i manettari di Repubblica e Fatto Quotidiano che quotidianamente pubblicavano pettegolezzi infondati e intercettazioni illegali, i commentatori progressisti che per avere cinque minuti di visibilità infangavano l'Italia agli occhi del mondo. Quello che è successo dopo è storia: i sorrisetti di Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, l'attacco della Germania ai nostri titoli di Stato, le manovre di Giorgio Napolitano per piazzare Mario Monti a Palazzo Chigi e, infine, le dimissioni di Berlusconi da premier. Adesso che la Corte d'Appello ha dimostrato che "il fatto non sussiste" se non nei teoremi sconclusionati di Ilda Boccassini e soci chi si assumerà l'onere delle scuse? Probabilmente nessuno.

A caldo, la reazione del Pd all’assoluzione è stata fredda, ma istituzionale. Con Verini prima e la vicesegretaria Serracchiani poi, i dem si sono limitati a ricordare come il partito abbia rispettato la sentenza di primo grado e come adesso rispetti quella d’appello. "Il nostro rispetto per le sentenze della magistratura - ha scandito ieri sera la governatrice del Friuli Venezia Giulia - non è uno slogan". All'indomani, però, qualcosa sembra muoversi. In una chiacchierata col Corsera Orfini è disposto ad ammettere qualche colpa. Niente nomi, per carità. Piuttosto un appello a recuperare, in futuro, il valore del garantismo. "In alcune parti della sinistra si è perso il senso della cultura delle garanzie e abbiamo visto una deriva giustizialista, anche perché dall’altra parte c’era chi aggrediva la magistratura - spiega il presidente del Pd - dovendola noi difendere, in alcuni casi si è andati oltre nel senso opposto". Eppure, pur riconoscendo come ieri sia emerso "un sistema di garanzie molto importante", il Guardasigilli Andrea Orlando si dimostra riottoso a dialogare col centrodestra per scrivere insieme la riforma della giustizia. "Il rischio - spiega è che la discussione si schiacci pro o contro Berlusconi". Eppure da parte di Forza Italia è stato rinnovata, ancora oggi, la disponibilità al confronto. Separazione delle carriere, responsabilità civile diretta dei magistrati per dolo e colpa grave, depoliticizzazione del Csm e abolizione delle correnti politiche che fanno il bello e il cattivo tempo nelle nomine sono solo alcuni punti su cui gli azzurri vorrebbero confrontarsi con Renzi. "La grandissima parte dei magistrati esige che si valuti il merito e la capacità di lavoro per promozioni e assegnazioni di sede - si legge sul Mattinale - mentre oggi il criterio dominante è l’appartenenza a una cordata politica, dove quelle più compatte e ideologiche (Magistratura democratica, Area) dominano su chi fa il suo lavoro di pm o di giudice senza confluire in camarille".
 

 

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