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Culatello di Zibello: nato dal sangue, cullato nella nebbia. PDF Stampa E-mail
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Notizie - Culinaria
Sabato 18 Febbraio 2012 10:41


Testo di Maddalena De Bernardi - Foto di Vittorio Giannella - SFOGLIA IL MAGAZINE

La lavorazione avviene tra ottobre e febbraio, inseguendo le fasi di una luna che sfugge all'umana comprensione ma continua a dominare la cultura della terra, quando i contadini scrutano i cieli con lo sguardo liquido assorto e allacciano il grembiule alla vita, pronti ad affondare le mani nella materia grezza che sulle nostre tavole diventerà capolavoro del gusto: il Culatello di Zibello nasce così, frutto di conoscenze secolari e di una fatica vissuta con perseveranza e gioia.

Pensate che del culatello si parla già nel XVIII secolo, quando il Calmiero della carne porcina salata, emesso dal Comune di Parma nel 1735, elenca una serie di salumi e i relativi prezzi. Tuttavia, pur avendo origini ancor più antiche, fino alla fine dell'Ottocento non verrà mai citato nelle opere di storici e letterati, a causa, come si ritiene, del nome così evocativo e il suono vagamente osceno, che si pensa scoraggiasse il pudore degli uomini di cultura, dalla penna d'oca ammutolita e perplessa di fronte a questo salume saporitissimo eppure dal nome tanto graziosamente dissoluto. Sarà D'Annunzio a citarlo per la prima volta nel 1891, mentre il dizionario Alfredo Panzini del 1905 lo inserirà tra le specialità gastronomiche accreditandogli finalmente il meritato riconoscimento. Il segmento del taglio è netto e preciso quanto la mano di un chirurgo: il culatello nasce dagli arti posteriori del suino. Una volta privata di ossa e cotenna, la carne viene rifilata e legata per poi essere salata a mano, quando mani sapienti ripercorrono i gesti di una cultura millenaria affondando le dita in un misto di sale, pepe, aglio e lambrusco.

Sarà la stagionatura a terminare l'opera, creando nell'amalgama del tempo dell'attesa la mescolanza di odori e colori che diverranno caratteristiche peculiari di questo celebre prodotto nato nella Bassa Parmense, quando le famiglie contadine allevavano il maiale per poi macellarlo e farne salume insieme ai parenti e gli amici, durante giornate che ancora oggi diventano occasione di duro lavoro e festa, mentre il sapore della carne bruciata affolla le mattine già dense di nebbia e il lambrusco sciacqua i residui di grasso dalle vasche per mantenere la perfezione del sapore e il calore nelle vene degli uomini abituati al freddo delle cantine.

Proprio a causa del clima umido, che non consentiva la stagionatura di una coscia intera, si pensò di disossare il prosciutto fresco, separando culatello e fiocco. Il sale, insieme al profumo intenso del pepe e il vino penetreranno nel muscolo caratterizzandone l'aroma inconfondibile, ma prima di eclissarsi nel buio oblio delle cantine, la carne verrà inserita in una vescica, precedentemente messa a bagno in acqua e aceto per farle riprendere elasticità, per poi essere insaccata, chiusa e bucherellata. Legato stretto nella trama di spago di una tela di ragno invincibile, il Culatello di Zibello riposerà nel segreto delle cantine per mesi, almeno diciotto.

Sarà la nebbia a formulare la magia dell'ingrediente segreto: l'umidità è infatti fondamentale per la stagionatura e nella Bassa, quando il Po è avvolto dalla foschia che rende gli inverni felliniani così interminabili, il freddo uggioso della galaverna assicura la bontà che ha come unico additivo l'attesa, quando le cantine sprofondano nel silenzio lasciando che dalle lunga fila di ganci pendano quasi immobili prosciutti e salsicce.

Zibello e San Secondo, ma anche Busseto, Colorno, Polesine, Roccabianca, Sissa e Soragna: qui, dalle tradizioni contadine, nasce il prestigioso culatello, oggi esportato in tutto il mondo e sinonimo dell'alta eccellenza gastronomica italiana.

Se vi trovate a vagabondare per Zibello, non perdetevi lo spettacolo della bruma, la foschia impalpabile che nelle campagne sembra avvolgere ogni cosa ridisegnando il profilo delle cascine a ridosso del Po, il gigante talvolta buono e di tanto in tanto irato senza cui la vita di questi borghi perderebbe il suo spirito, legato agli argini come ad invalicabili confini al di là dei quali scorre il flusso inarrestabile di una vita uguale a se stessa da secoli. Qui gli edifici religiosi, come la chiesa parrocchiale di Zibello, dedicata ai Santi Gervasio e Protasio e costruita in stile tardo gotico nel 1489, sono piccoli prodigi di arte, dove colonne, capitelli e affreschi uniscono l'intemperie di guerre e dominazioni al talento indelebile di personalità fuori dal comune, come il Parmigianino, che incontrerete insieme al Correggio passeggiano per la splendida Parma, un tempo capitale del ducato e oggi città pacata, dall'aria fatalmente ancora nobile.

Lungo il porticato di Palazzo Pallavicino, a Zibello, potrete immergervi nella Storia, dalla tragica peste del 1630 al Po nelle sue piene più burrascose e nel chiostro quattrocentesco dell'ex convento dei domenicani, oggi sede museale, è facile penetrare nei segreti della civiltà contadina della Bassa parmense. Tra la fine di maggio e il mese di giugno se avete occasione di attraversare queste zone, non dimenticate di dare un'occhiata alla Festa del Culatello in Piazza Garibaldi, che vi terrà prigionieri avviluppando i vostri sensi in un intrigante labirinto di profumi tra delizie tipiche del territorio, assaggi e gli aromi profumati del vino.

A questo punto non resta che inforcare la bicicletta e correre a rotta di collo nel puzzle delle campagne che ritrovano la primavera: il borgo medievale di Castell'Arquato vi attende con la Collegiata, una delle chiese più antiche del territorio, la piazza monumentale e il Torrione Farnese, eretto intorno al 1530 ma rimasto incompiuto, dalle cui fondamenta si snoderebbero misteriosi cuniculi di passaggi segreti mai ritrovati, che secondo la storia popolare dovevano condurre fuori dal borgo e nel Palazzo del Duca, il duecentesco Palazzo di Giustizia.

E se in lontananza un paio di occhi verdi sembrano scrutarvi, penetranti ed appassionati, non temete; potrebbe essere la duchessa dell'antico Castello di Torrechiara, murata viva nella torre del maniero quattrocentesco e dimentica delle sue fosche vicende, che sfumano tra la vita e la morte attraverso stanze ormai irriconoscibili, tracciate nel sole e facili a svanire nella nebbia che in queste zone gioca a cancellare le tracce del passato lasciando tenui orme da ripercorrere con la passione estatica di un presente leggendario.

 

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